Lo Spazio identitario, cibo per la mente

Per avere un esempio lampante e immediato di quanto lo spazio che ci circonda abbia una funzione fondamentale nel forgiare le nostre esperienze, siano esse sociali, emotive o cognitive, basta indugiare su quella sensazione di incertezza e disagio che si prova al termine di un web meeting .


video_conferencing_remote_work_online_meeting_by_rlt_images_gettyimages-1219032156_2400x1600_cw-100839430-large.jpg

Questo tipo di esperienza riguarda ormai da vicino la stragrande maggioranza della popolazione mondiale a causa delle restrizioni legate al Coronavirus. Impiegati, docenti, studenti hanno dovuto adattarsi velocemente all’utilizzo di piattaforme che consentono la comunicazione a distanza, che siano lezioni scolastiche, riunioni di lavoro, contrattazioni commerciali. Nonostante questa tecnologia presenti notevoli vantaggi, in quanto permette a persone dislocate in punti diversi e distanti del territorio di confrontarsi attraverso la simultanea consultazione di documenti, questa ulteriore trasformazione digitale ha scatenato riflessioni critiche e analisi approfondite su quali possono essere i risvolti etici ed i rischi in ambito psicologico della nuova modalità di comunicazione.

La perplessità maggiore nasce rispetto alla tendenza di voler giudicare il lavoro a distanza come molto più efficiente rispetto al vecchio assetto organizzativo legato alla sede, al punto da rendere obsoleto l’edificio universitario, la sede di ufficio, l’aula scolastica. Questo freno all’onda innovatrice è forse dovuto a un cambiamento troppo rapido da trovare la nostra mente impreparata, un po’ come è successo con le invenzioni del secolo scorso, come il telefono ? Oppure esiste effettivamente un problema etico, sociale e psicologico più profondo che causa un senso di smarrimento, un gap mentale che va assolutamente risolto?

Esperienza lavorativa impoverita

Esperienza lavorativa impoverita

La questione in causa riguarda precisamente la decontestualizzazione ambientale che caratterizza gli incontri di gruppo, la quale è sostituita da una griglia bidimensionale (mostrata sullo schermo del proprio PC) in cui sono incasellati innumerevoli volti, affiancati in un modo che difficilmente potrebbe replicare o riferirsi una esperienza reale. Una situazione simile è quella del conferenziere, o dell’attore, che si trova di fronte una platea, ma questa non comunica a sua volta con lui, o meglio lo fa ma con linguaggio diverso e mediato da una tipologia spaziale che definisce le distanze, la gerarchia, i ruoli.

Cosa succede quindi nel nostro cervello nel momento in cui ci si ritrova, in un contesto lavorativo o scolastico, a relazionarsi con una serie di volti parlanti decontestualizzati?

La ricerca in campo neuroscientifico ci spiega come la nostra esperienza di vita, in particolare la costruzione della memoria episodica, si costruisce sempre su un contesto spaziale e temporale. L'emozione, che sempre accompagna lo stesso ricordo e insieme a tutti gli elementi connessi, rimane a sua volta anch’essa legata ad uno spazio, e condiziona tutte le successive esperienze spaziali e non, interferendo nella decodificazione delle nuove situazioni.

Se un’esperienza è sempre anche di tipo spaziale, significa che essa coinvolge, oltre che il nostro sistema visivo e uditivo o propriocettivo, anche altre aree cerebrali dedicate all’apprendimento di natura spaziale quali l’ippocampo. L’ippocampo presenta una sorta di GPS neuronale (che conta le cellule di posizione e di griglia, di contorno e direzione) che ci informano sullo spazio in cui ci troviamo e la nostra relazione con esso, ma assolve contemporaneamente anche altre funzioni. Esso è responsabile della costruzione della memoria episodica, alla sua trasformazione a memoria a lungo termine, e riveste un ruolo importante anche nell'apprendimento di natura semantica e nella costruzione delle mappe cognitive.(1)

La costruzione spaziale è quindi alla base del ragionamento astratto, della emozione, del ricordo.

Questo ci fa capire il ruolo fondamentale che ha lo spazio costruito nel definire l’identità individuale o di gruppo, che va ben oltre la basica esigenza di funzionalità e comfort. Il concetto di spazio identitario è strettamente legato all’idea di ambiente domestico, ma rimane fondamentale per costruire l’idea di gruppo ed il successo dell’attività per cui il gruppo nasce. Si capisce inoltre quanto sia delicato e responsabile il lavoro degli architetti e dei designers quando progettano scuole, uffici, città.

Göbekli Tepe,: la più antica testimonianza architettonica risale a  10000 anni  fa

Göbekli Tepe,: la più antica testimonianza architettonica risale a 10000 anni fa

La strategia più comune è quella di creare riferimenti e stimoli multisensoriali di richiamo a sensazioni remote più o meno comuni al gruppo di riferimento, ma in ogni caso è necessario che il tempo contribuisca a generare un vero e profondo senso di appartenenza.

Questo spiega come mai molti spazi costruiti, che a prima vista risultano ben riusciti dal punto di vista estetico e funzionale, possano col tempo risultare dei flop. Ce lo dicono gli atti vandalici nei nuovi quartieri non vissuti, ce lo dicono i curriculum di alcune scuole, e ce lo dicono i livelli bassi di produttività di alcuni uffici.

Purtroppo la ricerca neuroscientifica trova ancora difficile definire i fattori che rendono lo spazio identitario, ma fornisce le prove che negarlo del tutto riduce l’efficacia della comunicazione, affievolisce la forza aggregante di un gruppo e diffonde una sensazione indefinita di disagio.

C’è da dire, però, che la mancanza di riferimento spaziale nelle attuali piattaforme di comunicazione quali Zoom, Google, Team, sono il risultato di una mancata considerazione del problema, e non di una impossibilità a risolverlo, almeno in parte. Queste tecnologie sono ormai datate rispetto alle coinvolgenti ambientazioni virtuali tridimensionali. La full immersion, che molti hanno potuto provare con le piattaforme dei videogames, restituiscono esperienze molto realistiche, che se da un lato rischiano di provocare dipendenze e fenomeni di dissociazione dalla realtà, dall’altro hanno il positivo effetto di celebrare una architettura di grande qualità: biofilica, umanocentrica e rigenerante.







Charis Lengen, Thomas Kistemann, 2012. " Sense of place and place identity: Review of neuroscientific evidence”. Health & Place

Comment

Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)