Bunker e Rifugi: storie di potere e di paure

I potenti dell'ultima generazione stanno esplorando soluzioni alternative all'habitat naturale, finanziando progetti per creare spazi artificiali lontani dalla superficie terrestre. Alcuni puntano all'iperspazio, altri a rifugi sotterranei. Tuttavia, in caso di necessità di fuga dal nostro mondo, quali speranze avremmo di condurre una vita felice nel sottosuolo? E qual è la praticità di tali progetti?

Who wants to live forever... (when love must die)”, brano della colonna sonora per il film Highlander, del 1986, riflette sull'angoscia dell'immortalità e sul superare la morte dei propri cari. Anche se fosse possibile creare un luogo ampio per una vasta comunità, ci troveremmo a fronteggiare un lungo periodo di disagio psicofisico. Non solo l'amore muore, ma anche la bellezza sfuma. Chi vorrebbe, o meglio, chi potrebbe vivere a lungo sottoterra, senza accesso alla luce del cielo e a uno spazio esterno, soprattutto dopo aver sperimentato quanto possa essere deprimente una vita isolata? Questo nonostante la consapevolezza che i nuovi rifugi anti-rischio nucleare o disastri ecologici offrano ogni comfort e si presentino come dimore di lusso. Ma il lusso non è sinonimo di bellezza e, anche potendo riprodurre un ambiente simile a quello naturale, come non temere la precarietà di un sistema totalmente isolato e segreto?

lucernari che si aprono su cieli virtuali simulano la natura in atmosfere lussuose

Esiste attualmente un mercato di case bunker in varie parti del mondo appetibile soprattutto per i ricchi emergenti. Negli USA e nell'ex URSS, vecchi centri di comando e strutture di stoccaggio della guerra fredda sono stati trasformati in condomini di sopravvivenza e luoghi di ritrovo esclusivi. Ville segrete di recente costruzione si trovano invece in Nuova Zelanda, e sono argomento di conversazione tra star hollywoodiane e sportivi di alto livello.

Ma la pretesa di creare sistemi artificiali indipendenti e chiusi  si rivela sempre utopistica, e non solo perché il meglio del nostro pianeta è proprio la libertà di muoversi ed esplorare, ma soprattutto perché la tecnologia che promette sicurezza ed efficienza genera un meccanismo persecutorio tra coloro che ne sono esclusi, dalla curiosità al desiderio di invadere.

Le Gated Communities degli anni 70 stanno già dimostrando il fallimento dell’atteggiamento difensivo e di chiusura. La “deriva securitaria”. ha alimentato  la sensazione di sicurezza nel breve periodo, garantita dall’esclusività dell’accesso a questi luoghi protetti, ma nel  lungo periodo ha reso meno familiare e più minaccioso l’esterno, richiedendo sempre più coraggio e forza nell’affrontare la quotidianità.

Nel caso del bunker nell'isola hawaiana di Kauai, il proprietario - indovinate chi - ha cercato di mantenere il progetto in segreto, imponendo a tutti i lavoratori, dagli architetti agli imbianchini, il divieto di divulgare informazioni sulla struttura, pena il licenziamento. Il cantiere è protetto da un muro alto 6 metri, ma l'intenzione di mantenere il segreto ha avuto l'effetto contrario: ha stimolato la curiosità e la divulgazione di dettagli. Sono state rivelate importanti informazioni, come la dimensione della superficie (circa 460 mq) e il costo dell'operazione (270 milioni di dollari). Si vocifera inoltre che il progetto includa case su alberi a forma di disco e vasti campi di coltivazione, forse nella speranza che emergenze naturali o artificiali siano di breve durata, permettendo così di godere di spazi aperti alternativi alla grande dimora sotterranea. Quest'ultima si estende lungo un tunnel con oltre 30 camere, collegando due palazzi per il collegamento verticale, con uffici, sale conferenze e una cucina professionale.

Se questa operazione consente un onesto movimento di denaro allora possiamo ritenerla positiva e migliore di tante altre, almeno dal punto di vista etico e ecologico. La scala di intervento è relativamente ridotta, poco invasiva, almeno per quello che riguarda la sua parte più brutta, e può avere un futuro come testimonianza di una ennesima storia di deliri di onnipotenza e di controllo, di paure e di fughe.

Il Tunnel BOrbonico del 1853

Numerose sono le testimonianze passate di tentativi di controllo sulle realtà contingenti, interessanti non solo dal punto di vista architettonico, ma soprattutto per la chiara e facile lettura di certe dinamiche sociali e politiche. Voglia di cambiamento e di raggiungimento di nuovi equilibri economici politici e sociali hano smepre generato tensioni e quindi interventi sul territorio da parte dei potenti del tempo. Due esempi molto noti in italia sono il Passetto di Borgo concepito nel 1227 ed il più recente Tunnel Borbonico voluto nel 1853. Il primo, un passaggio pedonale sopraelevato lungo circa 800 m che collega il vaticano con Castel Sant'Angelo a Roma, aveva lo scopo di permettere al papa di rifugiarsi nella mole adrianea in caso di pericolo, mentre il secondo veniva creato a Napoli, su progetto di Enrico Alvino, come sicura via di fuga per i monarchi borbonici, visti i rischi che avevano corso durante i moti del 1848. Il luogo ben riparato è diventato poi rifugio dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e si è arricchito di dettagli descrittivi dell’epoca, per diventare una grande attrazione turistica.

Per sdrammatizzare ulteriormente e dissipare sensazioni claustrofobiche concludiamo quindi con un progetto del 2016, tutto italiano, che punta a soluzioni di vita alternativa nello spazio Ivedi foto). Si punta ad un modulo di città cis-lunare con 1000 individui dislocati in diversi nuclei abitativi (quartieri) in orbita e sulla Luna, nell’ipotesi di un nodo orbitale di interscambio con 100 persone. Gli spazi sono concepiti su principi di democrazia ed inclusione, cercando , almeno sulla carta, di minimizzare i conflitti interni tra gli abitanti e abbandonando logiche di selezione dei passeggeri, come si è fatto finora con gli astronauti.

All’angoscia sviluppata all’idea di bunker sotterranei si sostituisce il sorriso al pensiero di soluzioni spaziali, al momento che la visione di un futuro iperspaziale non è assolutamente nuova ma persevera, senza riscontri con la realtà, da oltre cinquant’anni, e cioè dalla data del primo allunaggio. Chi vivrà vedrà e speriamo non sia una fuga, ma solo un nuovo modo di fare vacanza.

2016 – ORBITECTURE, STAZIONE ORBITANTE, INFLATABLE SYSTEM, - Pica_ciamarra_Associati


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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Design Biofilico. Tra scienza, neuroscienza e pseudoscienza

La neuroarchitettura è nota come campo interdisciplinare che si basa sulla collaborazione tra design e fondamenti di neuroscienza. Tale connubio suscita perplessità quando si fa riferimento al design biofilico. Il termine “biophilia” (riporto il termine in inglese poiché diffuso dopo la pubblicazione del libro omonimo nel 1984, del biologo statunitense Edward O. Wilson) sottende, nella etimologia della parola, più un significato filosofico/letterario piuttosto che un rigore scientifico, perché fa riferimento a quella forza attrattiva, non ancora completamente spiegata, che gli uomini sentono nei confronti della natura e delle sue manifestazioni.  Tale amore per l’ambiente naturale ci fa percepire come gradevole tutto ciò che vi appartiene, e si giustifica con il fatto che noi ci siamo evoluti strutturalmente, cognitivamente, ed emotivamente in esso.

Spesso si considera la biofilia solo dal punto di vista percettivo, cioè come apprezzamento estetico che in qualche modo ci tira su il morale e ci rende più contenti. In realtà biofilia intende l’affiliazione del genere umano a tutto ciò che è espressione della natura, anche qualcosa che va oltre il mero apprezzamento dei sensi. Questa più allargata definizione risulta inevitabilmente più vaga , meno rigorosa scientificamente e più vicina all’ambito del fenomenologico, nonostante la ricerca continui costantemente a sostenere e a validare l’assioma di partenza. Infatti aumentano le scoperte che evidenziano i meccanismi biologici per cui noi esseri umani reagiamo positivamente a livello fisiologico oltre che psicologico a determinate stimolazioni  del mondo naturale, legittimando la validità dell’ipotesi biofilica.

Una revisione sistemica del 2018 ha rilevato che il tempo trascorso in natura porta benefici ad ampio raggio. Sono stati registrati infatti miglioramenti della pressione sanguigna, ed esiti positivi correlati al cancro e diabete di tipo 2. Adulti che hanno trascorso almeno 10 minuti all'aperto e per tre volte a settimana hanno registrato un calo di quasi il 20% del cortisolo, l'ormone dello stress.

E adesso la pandemia non fa che confermare l’inequivocabilità di questi benefici.

L’esistenza di patologie, che sicuramente esistono ma contraddistinguono solo la piccola minoranza della popolazione mondiale, non è certamente una motivazione di alcuni insuccessi. Esiste infatti una lunga lista di malattie - ignote per la maggior parte -  le quali testimoniano casi di profonda avversione nei confronti di alcuni fenomeni o elementi in natura, che al contrario sono comunemente riconosciuti come rigeneranti e benefici dalla stragrande maggioranza delle persone.  

Siamo abituati a sentire parlare di entomofobia (paura degli insetti), o ancor di più dell’aracnofobia (paura dei ragni) , per le quali la persona va nel panico al punto tale da rifiutarsi di uscire di casa. Ma esistono altri casi meno noti quali l'anablefobia.  Chi ne soffre non ha nessuna intenzione di sdraiarsi sulla schiena ad osservare il cielo stellato perché ha paura di guardare in alto: molti legano questo tipo di fobia al terrore verso l'ignoto e all'insignificante presenza dell'uomo nella vastità dell'universo, mentre altri la vivono combinata alla paura per la gravità, che li porta a pensare che saranno schiacciati. Ancora più sconvolgente ed incredibile risulta l’antrofobia, il terrore dei fiori, forse indotto dal terrore degli insetti che gravitano attorno ai fiori o dalle malattie che potrebbero veicolare.

Queste sono le classiche eccezioni, che sottendono particolari traumi non superati e interiorizzati, ma che confermano la regola. La regola è che, a livello percettivo, gli elementi di uno spazio che replicano caratteristiche della natura o che ne facciano parte, rendono la nostra esperienza piacevole e ci marcano come affiliati alla natura.

Ma qual è il significato profondo di questo sentirci affiliati?   

Esso non si distacca troppo dal concetto legato al senso di appartenenza ad una comunità, ad un’associazione. Quindi sentirsi affiliati a tutto ciò che è natura significa sentirsi parte del mondo, organico e anche inorganico, purché costituente il sistema, rispettando le regole di convivenza ed evitando gerarchizzazioni e classificazioni artificiose.  

Il design biofilico si fa promotore di principi che vanno oltre il perseguimento della bellezza legata al compiacimento estetico e sensoriale, proponendo un approccio che vuole allontanarsi dall’antropocentrismo. L’obiettivo è, sì assicurare benessere all’individuo attraverso il godimento di stimoli sensoriali piacevoli, ma è anche e soprattutto perseguire altri valori, quali la verità, la coerenza,  la giustizia. Tali valori sono esprimibili  attraverso il giusto dosaggio di parametri spaziali capaci di modulare le aspettative dell’occupante e le sue reazioni emotive. D’altra parte anche le fobie, pur nella loro negativa interpretazione del creato, tendono a dare significati a certi fenomeni e presenze che vanno oltre l’apprezzamento estetico ma ne interpretano i significati ed i messaggi nascosti, e quindi esistenziali.

I pregiudizi diffusi sul nuovo approccio conducono al fraintendimento del concetto base di biofilia e inducono alla trappola del greenwashing – qui declinato nel contesto architettonico e non della green economy-  cioè quella tendenza ad agire in modo superficiale e semplicistico che, senza un’attenta lettura del contesto spaziale, ritiene che il mero inserimento di piante sia sufficiente a migliorarne la qualità.

La solitudine delle piante ornamentali

 Specialmente nella piccola scala di intervento dell’interior design notiamo che le macchie di verde stentano a lasciare un segno profondo nella nostra esperienza spaziale. Pareti verdi incorniciate a mo’ di quadro, oppure piante dalle chiome più rare e stupefacenti, rispondono a layout geometrici e a cure degne di esposizione museale. Il verde viene inserito senza alcuna considerazione della sua potenzialità comunicativa e biologica, e viene ridotto ad elemento di riempimento di angoli dimenticati in fase di progettazione.  

La natura reale diventa un surrogato di se stessa, e per quanto si possa asserire che anche in forma surrogata la natura possa avere effetti rigeneranti, la forzata declassazione di ciò che è autentico (effetto di greenwashing appunto) finisce per togliere credito alle reali potenzialità di questo nuovo paradigma progettuale. Il progetto biofilico quindi viene relegato alla condizione di pseudoscienza, nonostante il progressivo contributo del metodo scientifico, che si sforza di emancipare tale disciplina dalla sua parvenza di semplice indagine fenomenologica.

Extraordinary claims require extraordinary evidence
— Carl Sagan

"Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie". Questa è una famosa frase di Carl Sagan, astrofisico di fama mondiale, che dà bene il senso della fatica che la ricerca in questo ambito deve affrontare per legittimare il percorso, nonostante i risultati continuano ad esserci.

La pratica del “Bagno nelle foreste” (Shinrin-Yoku”), diffusa in Giappone sin  dal 1982, ritiene altamente benefico il profondo contatto con specifiche foreste. Ad oggi si contano nell’isola ben 62 boschi certificati che sono riconosciuti di provvedere al rilascio di fitocidi, i quali che abbassano la pressione sanguigna, aumentano la produzione di cellule natural killer (NK) e migliorano l'umore. La diffusione di tale pratica fuori dall’Asia è massima in USA. Qui è promossa a rango di vero e proprio protocollo  medico, anche se solo in un ambito ristretto, cioè nei centri di trattamento per traumi militari.

Quali effetti porterà la "The Tree Path" di Sabbioneta? (crediti CRA)

Il vero e definitivo successo di tali pratiche innovative è possibile solo attraverso la comprensione dei legami tra benessere personale, comunitario ed ecologico. Senza la sinergia della struttura fisica, delle emissioni biochimiche e della narrativa sociale, (cosa che si è verificata naturalmente in Giappone) risulta difficile comprendere e diffondere la pratica nella sua complessità, completezza ed efficacia.

Queste sarebbero le ragioni per cui la pandemia è risultata una esperienza fondamentale per legittimare alcuni assiomi secondo i quali la natura non solo determina la riduzione dello stress, restaura l'attenzione, ma è un esempio di come l'esperienza della bellezza sia collegata con la generosità e la gentilezza, legittimando la teoria della scrittrice e filosofa Iris Murdoch, secondo cui questo profondo legame con la natura spiegherebbe il fenomeno per cui è più probabile che le persone salutino lungo i sentieri in natura che in altre parti della città.

 L’insuccesso, o meglio le difficoltà che incontra anche la  green economy e tutto l’apparato a sostegno della transizione energetica, probabilmente sta nell’incompletezza della sua visione.  Questo movimento ha come obiettivo il risparmio delle risorse del pianeta e uno sviluppo economico sostenibile, che assicuri un futuro agli abitanti della terra e in primis all'uomo. Ma qui il concetto di biophilia non è centrale, o perlomeno non lo è ancora.

Prende il sopravvento l’idea di dover domare e gestire le leggi che governano il sistema, piuttosto che far prevalere la presa di coscienza di esserne parte e di dover sottostare alle sue leggi. Il risultato è un senso di frustrazione per un meccanismo rigenerativo che stenta a partire.

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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)