L'inconsapevole cognizione dello spazio costruito

C’è una forza costante e indefinita che lega la psicologia all’architettura, che costringe le due discipline a inseguirsi senza però mai interfacciarsi. Eppure non c’è aspetto mentale che non abbia, oltre al riscontro fisiologico e sociale, una riferimento ed un corrispettivo in ambito architettonico o territoriale. L’influenza del contesto ambientale sulla nostra psiche non è prevalente, ma è quasi sempre determinante, perché funziona da marcatore, evidenziatore e amplificatore della situazione.

Architettura e Psicologia, due percorsi paralleli

Architettura e Psicologia, due percorsi paralleli

Prendiamo ad esempio l’ippocampo, costituito da due porzioni simmetriche di cervello situate nei due lobi temporali. Esso è notoriamente sia sede della memoria sia sede dell’apprendimento spaziale (orientamento). In origine si pensava che fosse l’olfatto la sua principale funzione, ma poi scoperto che sono anche altre le aree del cervello ad essere coinvolte. In ogni caso, anche se l'olfatto non è la funzione primaria dell'ippocampo (esso ne rimane comunque coinvolto) abbiamo qui l’evidenza anatomica del forte legame tra emozione (legata alla sensazione olfattiva e alla memoria di lungo termine), cognizione ed esperienza spaziale.

In un articolo precedente è stato già messo in evidenza come la struttura dell’ippocampo sia rappresentativa dello stretto legame tra psiche ed architettura, ed ora, a completamento ed arricchimento di questo argomento, introduciamo la teoria dell’ embodied cognition , cioè di quell’esperienza spaziale che avviene a livello corporeo. Non ci riferiamo al tatto in questo caso, piuttosto all’insieme dei nostri movimenti e posture relativi ad un contesto. L’esperienza corporea legata al movimento erroneamente separa il corpo dalla mente, laddove il movimento e la propriocezione, (cioè la consapevolezza dell’interazione del nostro sistema muscolo-scheletrico con il contesto) non sono altro che estensione della corteccia motoria, allo stesso modo con cui gli occhi ed il naso sono collegati alla corteccia visiva ed olfattiva. Certamente esiste un diverso grado di consapevolezza tra i sistemi percettivi “tradizionali “ e quelli “embodied”, nel senso che è facile che gli stimoli motori e posturali passino più inosservati rispetto a quelli recepiti dagli altri sensi. La cognizione corporea conserva quindi la caratteristica di essere inconsapevole rispetto alla conoscenza chiara che viene filtrata dai soliti cinque sensi, anche se questi ultimi, in aprticolare la vista e l’udito, non sono esonerati dalla stimolazioni più delicate e nascoste (nudging) di soluzioni architettoniche strategiche. Quando però riconsideriamo i fatti e gli scenari appena avvenuti è più facile fare mente locale su ciò che distrattamente abbiamo visto o udito piuttosto che ricordare precisamente i nostri movimenti.

Detto questo possiamo definire l’esperienza spaziale come un fenomeno complesso, cross-modale e senso-motorio, che lascia ampio spazio all’inconsapevolezza, soprattutto perché il nostro sistema agisce per schemi noti che inducono agli automatismi.

Welcome to Your World,  S. William Goldhaghen, HarperCollins, 2020.

Welcome to Your World, S. William Goldhaghen, HarperCollins, 2020.

Sarah Williams Goldhagen parla, nel suo libro (foto), di uno spettro della cognizione umana dell’ambiente circostante, che registra un andamento decrescente del livello di consapevolezza che coincide con un passaggio graduale della cognizione linguistica a quella prelinguistica. La cognizione prelinguistica è più difficile da cogliere e da esprimere. Quando eseguiamo le azioni routinarie, come quella di andare in ufficio ogni mattina, esistono tante azioni ripetute, quali il vestirsi, prendere le chiavi dalla mensola, aprire la porta e percorrere il solito vialetto, le quali impegnano il corpo e la mente senza che ne abbiamo piena consapevolezza. In realtà si tratta di sequenze di azioni e reazioni che non richiedono energia mentale ma che forgiano e condizionano, anche se molto lentamente. Sono soprattutto questi gli aspetti della cognizione spaziale che dobbiamo imparare a considerare e a soppesare al fine di creare ambienti strumentali alle nostre attività, “compassionevoli” della nostra condizione. Non esiste il design ideale per ogni contesto ambientale e sociale, ma esistono diverse possibilità di definire un’esperienza. Se riconsideriamo la sequenza di azioni mattutine prima citata e cambiamo il layout ambientale, cioè cambiamo il posto delle chiavi, il verso di apertura della porta e arrediamo con nuove piante il vialetto esterno, sicuramente rompiamo alcuni automatismi, arricchiamo l’esperienza per un po’ di tempo, fino a che non diventa nuovamente una routine. Anche in tal caso possiamo immaginare uno spettro, quello dello stimolo, che da lieve (di piacevole sorpresa) aumenta sempre più fino a registrare uno stress che da episodico diventa cronico.

Il cambio di marcia del lavoratore smart improvvisato, tema centrale di questo periodo pandemico, è proprio un esempio di come un radicale cambiamento, che non trova un suo assetto definitivo, può causare forte disagio, nonostante il cambiamento avvenga nella direzione desiderata. La completa libertà nella gestione del lavoro stravolge la matrice spazio-temporale, elimina gli schemi prefissati, gli automatismi, cioè quei gap che sfuggono alla consapevolezza ma che aiutano a far riposare il sistema mente-corpo. Il sovraccarico mentale, per quanto eccitante e intrigante all’inizio, alla lunga rende frustrati e anche inutilmente frenetici.

La riorganizzazione del rapporto lavorativo richiede l’intervento soprattutto di psicologi e sociologi ma non può prescindere anche da un approccio progettuale compassionevole. Attualmente la progettazione architettonica sta prendendo coscienza della sue lacune e esprime la volontà di superamento della stesse, ricalcando così le stesse difficoltà di percorso che hanno caratterizzato l’affermarsi della psicologia di inizio secolo scorso, quando similarmente si imparava a comprendere la complessità dei caratteri distintivi del modo di pensare e di sentire del singolo individuo.

La consapevolezza nuova della cognizione della spazio richiede il superamento di una resistenza, una forza che , per dirla con le parole di Daniel Kahneman, ci ha abituato ad ignorare la nostra ignoranza ed essere cechi alla nostra cecità.

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We can be blind to the obvious, and we are also blind to our blindness
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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)