Chi ha paura del buio?

C'è un grande bisogno di spazi antropizzati che ci confortino, ci regalino opportunità di riflessione e introspezione. Le città esistono da diversi millenni ed hanno sempre rappresentato, pur nella loro semplice organizzazione, realtà fisiche che costruiscono e confermano la nostra identità spirituale, sociale e culturale. Eppure negli ultimi decenni i centri urbani si stanno trasformando in meri sistemi di collegamento tra residenze, attività e servizi, in cui si innescano silenziosi dei fattori stressanti che cronicizzano e si trasformano in nevrosi e schizofrenie

Budapest al crepuscolo . Foto di Giulia Ascione

Budapest al crepuscolo . Foto di Giulia Ascione

I percorsi urbani sono efficaci nel forgiare la nostra esperienza quotidiana e di vita perché avvengono con una sistemicità e costanza maggiori rispetto alle più rigeneranti ma sporadiche esperienze naturalistiche.   L’ipotesi biofilica ci spiega quanto benefico e quindi necessario sia arricchire il paesaggio urbano con elementi naturali, quali l’acqua e il verde, ma poco si parla di quanto sia pericoloso privare l’uomo di una esperienza fondamentale per il suo metabolismo e sistema fisiologico: il buio.

Il buio è diventato il capro espiatorio del fenomeno di degrado di molte aree urbane, poiché le zone scarsamente illuminate registrano una più alta percezione del rischio e un conseguente fenomeno di desertificazione e quindi di degrado. La illuminazione notturna è diventata una discriminante per la qualità di vita di un quartiere: più le zone sono illuminate più sono invitanti e maggiore è il successo garantito per le attività commerciali. Il bagliore delle aree metropolitane di oggi produce una luce diffusa su scala territoriale di 4 lux, che equivale a 4 volte il bagliore generato dalla luna piena e oltre 100 volte l’illuminazione del cielo stellato. Una condizione luminosa che stravolge quelle che sarebbero le condizioni naturali e che ha un forte impatto sulla nostra psiche e sul nostro fisico.

Il nostro sistema visivo è stato programmato per una visione fotopica (diurna), ma anche per una visione scotopica (notturna). L’occhio umano presenta sul fondo della retina due tipi di fotorecettori distinti per queste due modalità percettive. I coni ci restituiscono i colori, le forme, i dettagli della vista centrale, mentre i bastoncelli ci aiutano a cogliere il movimento e la vista periferica, e percepire la realtà circostante in condizione di scarsa illuminazione, quale può essere quella offerta dal cielo notturno.

Ma la vita offre ancora esperienza del buio? O questa è un’altra condizione naturale importante che ci viene negata? Ritornando a quanto detto all’inizio, cioè al nostro bisogno di ricevere conforto dall’ambiente in cui viviamo, c’è da dire che il concetto di oscurità è strettamente legato all’esperienza del silenzio, del vago e quindi della tranquillità.

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Do we need a little more darkness to challenge ourselves to adapt, and perceive more?

 (trad.: “Abbiamo bisogno di maggiore oscurità per adattarci a essa e percepire di più ?”) E’ una domanda che la lighting designer C. Tomara pone in un suo articolo sull’evento PLDC2019, in particolare per l’installazione della Dark Art Room. L’autrice intende sottolineare quanto sia meravigliosa e nel contempo sconosciuta la nostra capacità visiva di adattarsi al buio. La sua riflessione mi ha rimandanto a una diversa e personale considerazione, basata su una esperienza di qualche tempo fa, quando mi sono ritrovata a percorrere una strada della mia città di origine, completamente al buio a causa di un blackout temporaneo. In quel momento ho avvertito forte l’invito a proseguire il cammino nonostante il buio mi cogliesse impreparata, la sensazione di incertezza e titubanza si è subito trasformata in un forte impulso a investigare questa insolita condizione (nuova, o solamente dimenticata). La familiarità della strada ha sicuramente contribuito ad eliminare ogni indugio a percorrerla, dissipando la percezione del pericolo, e aiutandomi a godere, invece, della sensazione positiva di quiete. Ho avvertito forte il contatto con la natura e la positività di una esperienza rincuorante, nonostante fossi immersa in volumetrie di cemento, sentissi l'asfalto sotto i piedi e mi sfiorassero le automobili. 

Una sensazione molto simile l’ho provata, già adulta, quando ho avuto la mia prima esperienza con la nebbia. L’impossibilità di percepire i dettagli delle forme degli oggetti e l’essere pervasa da una luce diffusa che non restituisce alcuna profondità del campo visivo, estranea dal mondo esterno e induce ad un dialogo con se stessi.

STrade nella nebbia

STrade nella nebbia

La scienza può dare delle spiegazioni a questo fenomeno di empatia. Durante la fase preliminare all’addormentamento, o anche quella del sogno ad occhi aperti, l'elettroencefalografia (EEG), che registra l'attività elettrica dell'encefalo, rileva un’accentuata attività delle onde alfa in concomitanza con un certo torpore visivo. Quindi possiamo assumere che, viceversa, creando il torpore nella visione si possano innescare stati mentali pseudo onirici. La spiegazione potrebbe essere nel fatto che una scarsa restituzione dei dettagli, delle sagome e del contrasto, che una luce diffusa su tutto il nostro campo visivo determina, ci porta in una dimensione che non aderisce alla realtà come normalmente la percepiamo, perché non è tipica dell’esperienza quotidiana. L’esperienza visiva nella nebbia diurna non è né la visione scotopica - perché non si tratta di buio - né consente la visione centrale, capace di restituire i dettagli ed i colori delle cose. Tutto viene quindi sfumato in una dimensione atemporale e aspaziale che induce inevitabilmente ad una meditativa introspezione, ancora più di quanto possa fare il buio.

La differenza tra l’esperienza al buio e con la nebbia sta nel fatto che nel primo caso si può contare su minimi riferimenti dello spazio: un’illuminazione di soli 0,006 Lux, che è quella tipica della notte con cielo stellato, ci permette, attraverso la lenta ma efficace attivazione dei bastoncelli, di percepire le sagome, i contorni, i movimenti e quindi leggere e decodificare la cinematica corporea delle persone intorno e tradurle in intenzioni e in emozioni. Il nostro essere animali sociali ci predispone all’interpretazione dei set visivi, in una sorta di elaborazione simultanea dei rilevatori di caratteristiche (elementi oggettivi della scena visiva) e della corteccia visiva associativa che combina la scena ai ricordi e alle conoscenze.

La illuminazione urbana, alla luce delle conoscenze psicofisiologiche, deve saper promuovere l’uso positivo dell’oscurità come strumento progettuale e cogliere l’opportunità di saper gestire i messaggi reali e mediarli con quelli indotti e sussurrati per restituire un set visivo quanto più rassicurante possibile, e trasformare l’esperienza dell’oscurità da unicamente minacciosa a una positiva occasione di rilassante dialogo con se stessi.

Non dobbiamo avere paura del buio e non solo perché ne abbiamo bisogno per addormentarci e continuamente allineare il nostro ritmo circadiano, ma anche perché disponiamo degli strumenti adatti per relazionarci con esso. Abbiamo bisogno del buio per non lasciare che parti del nostro corpo si atrofizzino e soprattutto per scrutare molto di più fuori e dentro di noi.

Kunsthofpassage : neuro-urbanistica inconsapevole

Quando sono state create queste singolari facciate, all'interno del quartiere un po’ nascosto di Kunsthofpassage, a Dresda, c'era la volontà da parte dei cittadini di restituire alla città le caratteristiche del gusto tipico del tempo e del luogo andate perdute dopo i bombardamenti del secondo conflitto mondiale.

All'epoca della loro costruzione il termine neuroarchitettura non era ancora stato coniato (e forse non lo è ancora ufficialmente) ma il risultato voluto dal  progetto tedesco “Courtyard of Elements”, che installa opere d’arte negli edifici, è anche quello di creare un'ambientazione che gioca con i nostri sensi e con le nostre emozioni, per generare un diffuso senso di benessere in quei punti della città che peccano per mancanza di luminosità e scorci panoramici, oltre che  essere dei "cul-de-sac"  nascosti e sottratti alla vita economica e sociale della città.

Funnel Wall.     Foto di Luigi Ascione

Funnel Wall.     Foto di Luigi Ascione

E' così che fioriscono in questo quartiere le diverse facciate colorate, che oltre a ricreare una specie di arcobaleno steineriano, interagiscono con i fenomeni atmosferici per riprodurre piacevoli effetti sonori e luminosi.

In particolare, nel Cortile degli Elementi (Hof der Elemente), creazione di tre geniali artisti (Christoph Rossner, Annette Paul e Andre Tempel), c'è il Funnel Wall, una facciata con un sistema di smaltimento dell'acqua che, alla maniera della macchina di Rube Goldberg, (tipico macchinario inutilemente complesso  e ridontante  che esegue operazioni piuttosto semplici), produce suoni musicali quando piove.

 

Non è da meno il Cortile delle Luci  (Hof des Lichts) dove gli autori-artisti, scelti tramite un concorso, hanno risolto il problema di scarsa illuminazione naturale di un cortile (vedi foto in basso) con una composizione di specchi che riflettono i raggi del sole e producono diverse sfumature colorate.

 

Cortile delle Luci .       Foto di Luigi Ascione

Cortile delle Luci .       Foto di Luigi Ascione

Molto rilassante e "organico" è infine il Cortile degli Animali (Hof der Tiere ) con una facciata di un palazzo interamente colorata di verde e decorata in rilievo con giraffe, scimmie e gru e con balaustre realizzate in vimini. 

scorcio del Cortile degli animali .                                              foto di Luigi Ascione

scorcio del Cortile degli animali .                                              foto di Luigi Ascione

Dresda è un bellissimo esempio di buona politica urbana oltre ad essere una città d'arte. Kunsthofpassage non solo ha creato una opportunità in più per il turismo ed il commercio, ma ha sottratto l'intera zona al triste destino di degrado sociale che inevitabilmente tocca alle aree urbane con limitata accessibilità e visibilità.

Capire le dinamiche psicosociali significa disporre di un strumento efficace per la pianificazione  territoriale, per la visualizzazione di possibili problematiche e la ricerca delle strategie risolutive.  La neuroarchitettura (o  neuro-urbanistica) riguarda anche questo. 

Comment

Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)

Le camminate percettive come strumento di pianificazione

Locandina dell' itinerario in bici a Trento  (immagine di giusi Ascione) 

Locandina dell' itinerario in bici a Trento  (immagine di giusi Ascione) 

La camminata urbana, o di quartiere, è una pratica che si sta diffondendo negli ultimi anni in diversi centri d’Italia, ma le finalità e le aspettative sono diverse a seconda dell'ente o persona che ne è promotore. Certamente alla base vi è l'esigenza dei residenti di una più approfondita conoscenza del territorio, sia perché ci si vuole  ri-appropriare dello stesso, in cerca di una perduta identità sociale e culturale, sia perché si è in cerca di una chiave di lettura che aiuti nelle strategie d’intervento.  E' un dato di fatto  che gli spazi urbani non sono vissuti adeguatamente: la sosta in piazza fine a se stessa è un evento raro e  per pochi, e perfino gli adolescenti non rispondono più al richiamo del  rituale "incontro al solito posto".   La città evolve spesso in modo distaccato rispetto alle  esigenze del cittadino, e la serialità degli  eventi è tale  da amplificare inesorabilmente alcuni effetti negativi, quali l'aumento della percezione del rischio, il fallimento delle attività commerciali e la svalutazione degli immobili.

Itinerario di Trento:  asse Albere-trePortoni (img sandro aita)

Itinerario di Trento:  asse Albere-trePortoni (img sandro aita)

Il cittadino sente la necessità di conoscere meglio il proprio territorio e di identificarsi con esso, e questo si esprime con diverse modalità di approccio. Che si tratti di iniziative di percorsi podistici, con finalità più ludico-sportive, o che si tratti di incontri per facilitare il dialogo tra generazioni, classi sociali  e professionali diverse, l'obbiettivo finale  è comunque quello di generare strategie politiche e proposte condivise per la gestione del futuro della città e incrementare il senso di appartenenza dei cittadini. L'esperienza diretta del luogo, attraverso il percorso materiale dello spazio (a piedi o in bici) diventa il miglior strumento di analisi e di progettazione, poiché facilita il reset  dei preconcetti  di ordine politico, sociale e antropologico, e veicola proposte di intervento più creative ed originali.

Il cittadino medio ha ormai sviluppato una forte capacità critica sugli aspetti legati alla vita urbana: una più democratica informatizzazione ma soprattutto l'esperienza diretta e continuata delle “cose urbane”, ha conferito allo stesso nuove competenze al punto da renderlo  una risorsa e uno strumento indispensabile nella pianificazione territoriale.

Quella che ormai comunemente viene definita "progettazione partecipata" però non riesce da sola a risolvere la complessità delle problematiche da affrontare. C'è dell'altro. Esistono dei fattori che interferiscono nell'evoluzione e nella caratterizzazione di un luogo che sono evanescenti, inafferrabili, difficilmente individuabili: , perché troppo “sottili” per essere percepiti con strumenti ordinari della “tecnica” urbanistica e architettonica:  alcune zone di città, apparentemente funzionali, sono spesso percepite come meno belle, meno sicure e meno sane, e non si riesce a capirne il motivo. Si parla di segni deboli , che non sono facilente rilevabili e riconoscibili se non da occhi esperti. Essi condizionano profondamente il nostro comportamento, modificano la nostra percezione della realtà concreta (oggettiva) e della realtà mentale (soggettiva).   

 Neuroarchitectura, in collaborazione con l'Ordine degli Architetti di Trento, ha organizzato lo scorso 17 ottobre  un tour in bicicletta dal titolo "Alla ricerca dei segni deboli della città",  per  uno sguardo attento  che aiutasse a cogliere questi segnali nascosti ed effimeri.

Itinerario di Trento:  i partecipanti con lo  sponsor "Prestabici" al punto di partenza.

Itinerario di Trento:  i partecipanti con lo  sponsor "Prestabici" al punto di partenza.

Questa chiave di lettura alternativa  non è  nuova: già nel 1964 Kevin Lynch scrive "L'immagine della città", e  parla di una nostra percezione dello spazio urbano non  distinta, ma parziale, frammentaria e mista ad altre sensazioni. La sua leggibilità tiene conto delle sensazioni "di colore, di forma, di movimento, di luce, dell'udito, del tatto, della cinestesia, della percezione di gravità, perfino di forze di campi elettrici e magnetici...".  Le linee guida  del teorico  americano sono state affiancate dalle più recenti conoscenze acquisite in campo neuroscientifico: le scienze cognitive, la neurospicologia e la neurofisiologia, assieme alla psicologia ambientale,  analizzano nel dettaglio gli aspetti percettivi, cognitivi ed emozionali, e caricano di significato fattori ambientali che sono stati fino ad ora ignorati, o considerati privi di efficacia concreta. Questi stimoli multisensoriali, che si traducono in modifiche comportamentali sia a livello sociale che individuale, trasformano la nostra esperienza del luogo e possono essere all'origine dei successi e/o degli insuccessi di alcune strategie urbane ed architettoniche, per quanto riguarda sia la qualità della vita dei residenti, sia le dinamiche commerciali e turistico-sociali in senso lato.

Questo primissimo tentativo locale di lettura "psicologica" del tessuto urbano ha riscontrato una risposta forte dei partecipanti. L'omogeneità del gruppo (si è trattato di una passeggiata in bici tra soli architetti) ha consentito un linguaggio unico, utile in questa prima esperienza esplorativa, ma che ha limitato, anche per il tempo ridotto, una lettura più libera e più diversificata, lasciando ai partecipanti il desiderio di replicare l'esperienza e consentire  un confronto più approfondito su un tema così innovativo e complesso che coinvolge anche le neuroscienze.

Diverse la reazioni registrate in un'altra passeggiata, che si è svolta in Villa Lagarina a inizio novembre, in occasione della presentazione del volume n° 18 dei “Quaderni del Borgantico” (**), curato dall’omonima associazione culturale. Questa volta il contesto ambientale era completamente diverso ed i  partecipanti,  eterogenei per diversa provenienza geografica e professionale, sono stati guidati, assieme all’architetto Sandro Aita (organizzatore del tour nell’antico borgo lagarino), lungo un percorso che ricalcava il tracciato storico ben conservato, dove l'architettura, assolutamente organica ed espressiva del luogo, ha espresso evidenti e chiari richiami ad una vita sociale ormai scomparsa ma ricca di suggestioni e stimoli percettivi. E' stata una bella occasione rilassata per "ascoltare" e toccare con mano quello che le città moderne spesso non riescono ad offrire, ma anche avere piena consapevolezza sensoriale di fenomeni che comunque agiscono a livello corporeo.

Certamente è più facile creare un ambiente coerente, equilibrato quando ci si muove in un mondo semplice da gestire, se non altro per le ridotte dimensioni demografiche. In questo caso  il “genius loci”, (quello che  C. Norbert  Schulz individua, nel suo saggio fondamentale, come caratteristica specifica e originale degli ambienti di vita urbana), viene più facilmente e meglio espresso.

Itinerario di Villa Lagarina , il Borgo Antico  (immagine di sandro aita)

Itinerario di Villa Lagarina , il Borgo Antico  (immagine di sandro aita)

 E' anche strano però che la pianificazione contemporanea (e la progettazione in genere) non sfrutti al massimo le sue reali potenzialità, e trascuri strumenti di indagine che potrebbero aiutare a capire meglio e prevedere le nostre reazioni comportamentali, e avere un potere anticipatore sugli scenari futuri, per definire un più corretto percorso di sviluppo della città. 

Le due esperienze sopra citate di “camminata percettiva” offrono un primo modello di esplorazione, certo inusuale, che alimenta una “democrazia partecipativa” dal basso, e che raccoglie stimoli e conoscenze utili per la crescita e la consapevolezza del senso di appartenenza ad un luogo.

Per concludere si riportano di seguito le parole che lo stesso Norbert Schulz, citando il suo predecessore Lynch, adopera nel suo saggio fondamentale “Genius Loci, paesaggio, ambiente, architettura”, del 1979:

una buona immagine ambientale dà al suo possessore un senso di profonda sicurezza emotiva”.
  • Si ringrazia l'architetto Sandro Aita per il suo prezioso contributo (contenuti e immagini).

Nota (**) L'articolo "L’antico Borgo di Villa. Silenzi, sussurri e grida di un cammino urbano che resiste e risuona nel tempo" è a pag 71.