I luoghi della transizione (collegamenti)

Il trapasso da un ambiente all’altro implica anche il passaggio da una attività ad un’altra, ed inevitabilmente una pausa, nonostante la dinamicità dell’atto.

La nostra quotidianità è fatta di pause più o meno lunghe, ed è impossibile pensare di vivere senza farne alcuna. Sui luoghi di lavoro la più recente legge prevede, oltre alla pausa pranzo non retribuita, la concessione di almeno 10 minuti continuativi, se la giornata eccede le 6 ore, per consentire un recupero delle energie psicofisiche ed anche per attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.

In caso di lavoro da videoterminalisti si suggeriscono fortemente (ma non si impongono) le micro-pause, cioè le interruzioni che durano poco meno dei 2 minuti, necessarie a ridurre soprattutto il disagio visivo. Quando si guarda a lungo il monitor la frequenza dell’ammiccamento ( battito delle ciglia) diminuisce ed espone la superficie dell’occhio all’aria più a lungo. Tali effetti possono essere facilmente mitigati spostando lo sguardo altrove, oltre i 6 metri, per soli 1 o 2 minuti, consentendo il rilassamento del muscolo oculare e riattivare la lacrimazione e la pulizia della cornea.

L’effetto positivo delle micro-pause si avverte anche in altri ambiti diversi dal sistema visivo, quali Il sistema muscolo-scheletrico, quello circolatorio e soprattutto il sistema cognitivo, ed infatti non è da poco tempo che si sono sviluppati e diffusi programmi software che provvedono a ricordare le interruzioni di lavoro e aiutano a gestirle nel migliore dei modi.

Collegamento semi-aperto del Castel Beseno TN.  Foto G. Ascione

Collegamento semi-aperto del Castel Beseno TN. Foto G. Ascione

Alan Hedge, professore alla Cornell University, ha immaginato già nel 2015 un ideale pattern lavorativo che si basa sulla regola delle 3 S (vedi figura sotto), che stanno per Sitting, Standing, Stretching, ad indicare l’importanza di alternare tra loro tre attività fondamentali per il benessere del sistema muscolo-scheletrico, che sono appunto lo stare seduti, lo stare in piedi e gli esercizi di allungamento. Alla luce dei più recenti risultati medico scientifici e delle ultime raccomandazioni dell’OMS, che vede il sistema cardiovascolare malfunzionante la principale causa di morte tra le malattie non trasmissibili, si potrebbe suggerire la revisione di questo protocollo con l’aggiunta di una quarta S (stroll), in riferimento alla raccomandazione dell’OMS di dedicare almeno 30 minuti al giorno alla camminata moderata.

Se la camminata diventasse una occasione ripetuta per una bella e rilassante micro-pausa all’interno di un’attività lavorativa potremmo pensare di caratterizzare gli uffici creando più occasioni di transizione. Le pause pranzo che consentono passeggiate all’aria aperta sono senz’altro la soluzione ideale, ma non sono sempre proponibili, e certamente non più di una volta al giorno.

Pensiamo quindi alle micro-pause che ci assorbono poco più di uno o due minuti, quelle che si impiegano per trasferirsi da una sala all’altra o semplicemente per allontanarsi un attimo per raggiungere l’area più adatta a fare una telefonata. Non sarebbero queste delle ottime occasioni per delle pratiche rigeneranti, che sarebbero efficaci per interrompere i disagi emotivi o semplicemente per creare aspettative su eventi imminenti?

Se si pensasse addirittura ad allungare i collegamenti, con dei detour densi di significato, si potrebbero promuovere occasioni di divagazione utile, come un incontro casuale con un collega, o opportunità per dissipare l’ansia e prepararsi ad affrontare eventi importanti.

In un articolo di questo blog di circa un anno fa si è fatto riferimento al carico di significato che F.L: Wright attribuisce ai corridoi nelle sue residenze, in particolar modo nella Casa Kaufmann (FallingWater). Qui l’eccessivo sottodimensionamento per altezza e larghezza spinge l’utenza ad affrettare il passo ed amplificare il godimento dello spettacolo offerto dall’improvvisa dilatazione e spettacolarità delle camere da letto collegate.

Il concetto di corridoio continua ancora oggi ad essere oggetto di sperimentazione e trasformazione, e anche in ambiti diversi da quello residenziale. L’arch. Hertzberger, in ambito scolastico, ha trasformato il ruolo del corridoio da mero luogo “punitivo“ a nobile spazio per apprendimenti alternativi, efficaci per i diversi profili psicologi.

Villa di Poppea Sabina, Oplonti  NA.  Foto G. Ascione

Villa di Poppea Sabina, Oplonti NA. Foto G. Ascione

Il primato dell’attenzione alle percorrenze, tuttavia, va attribuito all’architettura greco-romana. I romani associavano i camminamenti ai momenti di ozio, attribuendo a tale concetto un’accezione tutt’altro che negativa. Per gli antichi Romani infatti l’otium era la cura di sé e della propria saggezza, che passava per la contemplazione spirituale e lo studio, utile e necessario al cittadino di alto rango. Pertanto le residenze non potevano fare a meno dei colonnati, spesso ripetuti sui quattro lati dei cortili interni, e per i quali la distanza tra una colonna e l’altra segnava il passo e contemporaneamente aiutava a generare una piacevole brezza, stimolando il pensiero positivo.

Dai tempi della repubblica romana il mondo non ha più visto una società dell’otium, e il negotium è diventato padrone del mondo, eppure non mancano pensatori che apprezzano e abbracciano la vecchia visione.

L’ozio è il padre di tutti i vizi ed il coronamento delle virtù
— Franz Kafka

In ogni caso c’è da dire, ad ulteriore punto a favore dei camminamenti soprattutto in ambiti lavorativi, che non tutte le andature implicano ozio, anzi. Le pause di dieci minuti, ma anche le micro-pause di soli uno o due minuti sono utilissime alla buona salute poiché diminuiscono il discomfort muscolare , migliorano la circolazione, aumentano la produttività. Rivalutare gli elementi spaziali di raccordo e transizione e considerarli proattivi ad un benessere mentale oltre che fisico, significa creare un ambiente salubre e, quindi, facilitare una esperienza lavorativa di qualità.

Gaming Architecture per le Neuroscienze

Gamification* come soluzione per integrare le neuroscienze con le altre discipline architettoniche ? 

La notizia della morte di Zaha Hadid che giunge poco dopo la cancellazione del suo progetto per le Olimpiadi di Tokyo, e dopo la dichiarazione del presidente cinese Xi Jinping sul non voler più promuovere "architettura strana",credo segni la fine di un'era. Il pragmatismo prenderà nuovamente piede e soppianterà la forza immaginativa e innovativa liberata dalla rivoluzione digitale. Credo che le  ambizioni in questo  periodo siano (stati) molto positivi ed in una certa misura siano riusciti ad inspirare le persone attraverso spazi sorprendenti.

Zaha Hadid - Terminal di Daxing (Immagine by Deezen)

Zaha Hadid - Terminal di Daxing (Immagine by Deezen)

Ho condiviso questa ambizione. Quando lavoravo al mia tesi di  laurea ho manifestato questa miaingenua ambizione con le seguenti parole: "Gli ambienti che creo siano spazi del cambiamento, sedi di scoperte scientifiche, luoghi in cui le persone si innamorano, luoghi dove grandi organizzazioni nascono e imploranti cause vengono perorate. Voglio creare luoghi dove le leggi di Newton sono insegnati agli Einstein del futuro e dove venga celebrata la formulae= mc2".Questa affermazione mi ricorda la call ambiziosa di Giuseppina Ascione per un approccio equilibrato alla progettazione che utilizza i principi umano-centrici della progettazione (HCD). 

Ora siedo in un posto dove è facile perdersi in minuzie edimenticare quelle che erano le mie motivazioni originali.

La sovrapposizione tra neuroscienze e l'architettura riapre adesso un piccolo scorcio sulla mia ambizione iniziale. Credo che le questioni circa la logistica o la collaborazione neuroscienze/architettura facciano ormai parte del pensiero di professionisti e studiosi di tutto il mondo e rendano possibile  raggiungere tale traguardo.

Spesso si verifica che più sono gli esperti coinvolti  in un processo , iù questo diventa inefficiente. Eppure, essendo io amante della complessità, immagino che il cliente perfetto sia quello disposto a riunire gli esperti di molte discipline, per cogliere le diverse sfumature e raggiungere la magnificenza: gli UX designer, gli ingegneri ergonomici, i designer industriali, gli storici, i pianificatori, gli urbanisti, gli artisti, gli esperti di Feng Shui, i neurofisiologi, ecc.. 

Tuttavia una tale complessità richiederebbe un enorme sforzo da parte della burocrazia governativa per potere stare al passo. Facilmente ci si troverebbe di fronte a progetti senza fine, o che non realizzano fedelmente leidee iniziali, ( eventualmente con un aumento del loro costo). Un approccio diverso potrebbe essere proposto attraverso una sorta di gamification(1) ed un’analisi  dei problemi che si svolga attraverso un confronto alla pari tra diversi attori . Può la gamification essere una soluzione progettuale che ci permette di integrare le neuroscienze nelle discipline del design ?

La gamification presenta in sé implicazioni neurologiche che possono favorire e aumentare la produttività tra soggetti e dei soggetti. Un articolo dal Pew Research Center di Anderson e Rainie del 2012 racconta: "… i neuroscienziati stanno scoprendo sempre di più sui modi in cui gli esseri umani reagiscono a tali metodi di design interattivo. Si dice che tali interazioni causino reazioni chimiche che ci fanno sentire bene e alterano le nostre risposte agli stimoli migliorando i tempi di reazione, per esempio,  e in certe situazioni addirittura l'apprendimento, la partecipazione e la motivazione". 

Questo migliora ulteriormente la nostra possibilità di includere esperti nel processo di progettazione.

Considerate la scoperta, da parte di ricercatori presso l'Università di Washington, così come riporta il lor articolo: "una ricerca crowd-sourced ha svelato il  mistero di come una proteina chiave può aiutare a curare l'HIV. Il gioco ha attirato 46.000 partecipanti che hanno impiegato solo 10 giorni per risolvere un problema che gli scienziati stavano studiando da 15 anni.". Aggregare diverse competenze in una rete peer-to-peer(2) consente di ben ponderare il problema e di giungere ad una soluzione con maggiore 'efficienza e sulla base di maggiori informazioni.

Questo può diventare un ottimo strumento per aprire la partecipazione a molti e consentire il contributo da parte delle migliori  competenze in campo progettuale. Esistono già esempi che adottano questo metodo soprattutto nel settore dell'ingegneria con squadre basate sul crowdsourcing che stanno affrontando sfide sempre più grandi. Non mancano esempi anche all'interno della comunità dei designer : organizzazioni come Architecture for Humanity oppure la neonata Open Architecture Collaborative rappresentano un sistema di esperti basato sul  peer to peer. Il passo successivo sarà quello di coinvolgere le comunità interdisciplinari per affrontare sfide di progettazione in modo iterativo che possano venire fuori con proposte risolutive prima inconcepibili. 

In conclusione possiamo pensare di riconsiderare tutte le  problematiche legate alla progettazione  che in questi ultimi due millenni hanno atteso di avere risposte,  e che alla luce di queste nuove metodologie, quali appunto il gamification ed il  peer-to-peer”, possiamo finalmente concepire una progettazione architettonica integrata, capace di riunire tutte le competenze nuove, neuro scientifiche e non solo,  necessarie per creare spazi di qualità. 

NOTE: (*)(1) l'utilizzo di elementi mutuati dai giochi e delle tecniche di game design
in contesti esterni ai giochi per diffondere informazioni (educare- promuovere).
(2) Rete di partecipazione e condivisione dati di ricerca di tipo paritario, non
gerarchizzato.
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Giusi Ascione

Architetto abilitato dal 1992, LEED Green Associate, con un’esperienza decennale all’estero presso studi di progettazione internazionali (Burt Hill, EMBT/ RMJM, Forum Studio/Clayco). Rientra in Italia nel 2008 per avviare ABidea, dedicato alla progettazione e al retrofit. Nel frattempo presta consulenza presso Proger Spa, NeocogitaSrl, collabora con il GBCItalia. Consulente architetto per spazi rigeneranti e formatore di CFP per architetti, è coinvolta anche in attività di ricerca interdisciplinare centrata sulle relazioni tra il comportamento umano e lo spazio costruito. (EBD - Environmental Psychology)